Costituzione della Repubblica Italiana: Articolo 30
Costituzione della Repubblica Italiana: Articolo 30 Bandiera dell'Italia Primo comma È ...
Legge 192/1998 e la disciplina dell’abuso di dipendenza economica, era una trattazione che non poteva, assolutamente, mancare nello studio del contratto di Subfornitura.
L’articolo 9 della legge 192/1998 disciplina l’abuso di dipendenza economica, il quale articolo stabilisce che:
Inizialmente la disciplina dell’abuso di dipendenza economica, la si voleva inserire all’interno della c.d. legge antitrust.
In altre parole, il legislatore avrebbe voluto inserire un comma 3 bis all’interno dell’articolo 3 di detta legge antitrust.
Però, a questa novellazione si espresse in senso contrario l’AGCM, per due ordini di ragione.
Perché la legge antitrust nel disciplinare l’abuso di posizione dominante, vuole tutelare il mercato nel suo complesso.
Questo perché l’abuso di posizione dominante è un difetto strutturale del mercato.
Mentre con la disciplina dell’abuso di dipendenza economica, non si vuole proteggere l’intero mercato, ma solamente quella determinata impresa che è ritenuta debole all’interno di quel determinato contratto.
L’abuso di dipendenza economica è, infatti, un difetto congiunturale del mercato.
Perché non sempre l’impresa che pone in essere un abuso di dipendenza economica nei confronti di un’altra impresa, abbia anche una posizione dominante all’interno del mercato.
Sulla base di questo parere contrario dell’AGCM, il legislatore del 1998 ha inserito la disciplina dell’abuso di dipendenza economica all’interno della legge n. 192, la quale disciplina il contratto di subfornitura.
Legge 192/1998 e la disciplina dell’abuso di dipendenza economica, ci impone di trattare i singoli commi dell’articolo 9.
Ne consegue che il Primo comma del più volte citato articolo 9 della legge 192, dopo aver precisato che:
Indica quali sono i presupposti attraverso i quali si realizzarsi la c.d. DIPENDENZA ECONOMICA di cui stiamo parlando. Detti presupposti sono:
Secondo una parte della dottrina si deve trattare di uno squilibrio economico, tra prestazione e controprestazione. Squilibrio quest’ultimo che deve essere valutato con riferimento ai prezzi di mercato.
Secondo un’altra parte della dottrina, invece, non è sufficiente lo squilibrio economico ma serve uno squilibrio giuridico. Ad esempio, l’impresa forte riesce a guadagnarsi un recesso ad nutum, ovvero, determinare il foro di competenza.
Questo secondo orientamento (quello prevalente) sembra quello da preferirsi, in quanto, lo squilibrio economico potrebbe essere controbilanciato da clausole contrattuali più vantaggiose per l’impresa.
Sempre ai fini dell’articolo 9 della legge n. 192/1998, la dipendenza economica deve essere valutata tenendo conto della presenza di alternative soddisfacenti. Non è sufficiente che vi sia una qualsiasi alternativa, ma è necessario che essa sia soddisfacente.
Quando si può dire che l’alternativa sia soddisfacente ai fini dell’articolo 9 della legge n. 192?
Quando l’impresa pur cambiando partner, ha la possibilità di rimanere competitiva nel mercato.
Questo Secondo comma effettua un’elencazione esemplificativa delle ipotesi che – in presenza dei presupposti di dipendenza economica di cui al comma Primo – danno luogo all’ABUSO oggetto della nostra trattazione.
Quali sono dette ipotesi? La risposta è semplice:
Ovviamente, non tutti i rifiuti di vendere e di comprare integrano gli estremi dell’abuso.
Ciò avviene solamente per i rifiuti arbitrari e ingiustificati. Ne consegue che l’impresa dominante non pone in essere abuso, se si rifiutasse di comprare in quanto, si trova in una situazione di difficoltà economica.
Il rifiuto si distingue dall’interruzione. Proprio per questa ragione, una parte della dottrina ha affermato che questo Secondo comma tuteli anche le new comers. Ovvero, quelle imprese con le quali, l’impresa forte non ha mai avuto rapporti commerciali.
Però una parte della dottrina ritiene che, invece, le new comers non sono tutelati. Se così fosse, si inciderebbe eccessivamente sull’autonomia negoziale dell’impresa forte. Essa, infatti, sarebbe costretta ad avere rapporti con chiunque lo chieda.
Chi ritine che protegga anche i new comers afferma addirittura che – per la configurazione dell’abuso – basta provare la maggior convenienza dell’affare per l’impresa che si rifiuta.
Il legislatore considera abusive solo le interruzioni arbitrarie.
Ne consegue che se l’interruzione dovesse essere giustificata, il giudice non potrà sindacare la scelta dell’impresa. Si pensi all’ipotesi in cui l’impresa receda da un contratto a tempo indeterminato, a causa di modifiche significative delle condizioni di mercato.
Cosa si deve per interruzione arbitraria?
La risposta è semplice.
La dottrina equipara l’interruzione arbitraria, ad una cessazione di fatto della relazione.
Se dunque l’impresa dovesse recedere dal contratto in corso a causa di un inadempimento della controparte, non avremmo una cessazione arbitraria di fatto, bensì di diritto.
In dottrina è molto controversa, la questione relativa a cosa debba intendersi per condizione contrattuale gravosa.
In questa parte della disposizione possiamo notare, un riferimento o analogia con le clausole vessatorie di cui all’articolo 33 del Codice del Consumo.
Questa analogia ha portato la dottrina a valutare la legge 192/1998, alla luce della disciplina dei consumatori. Il codice del consumo individua due categorie di clausole:
A seguito di questa analogia operata dalla dottrina, ne deriva che:
N.B. Qualunque sia l’ipotesi attraverso cui si realizza l’abuso di dipendenza economica, esso sarà rilevante e quindi ritenuto illecito, solamente se accompagnato da un atteggiamento psicologico doloso.
Siamo sempre nel tema della legge 192/1998 e la disciplina dell’abuso di dipendenza economica. A tal proposito, è importante comprendere anche il Terzo comma dell’articolo 9.
Con riferimento a detto comma, bisogna dire che originariamente detta disposizione si limitava a stabilire che:
Dopo circa un anno e mezzo dall’emanazione della legge n. 192/1998, si riunì la Commissione Industria, Commercio e Turismo per verificare lo stato di attuazione ed efficacia della legge stessa.
In quella sede era emerso un dato di fatto e cioè, che per due ordini di ragioni, sarebbe stato più opportuno inserire la norma all’interno della legge antitrust.
Primo motivo
Perché negli altri Paesi dell’Unione Europea la disciplina dell’abuso di dipendenza economica è contenuta all’interno della legge antitrust.
Secondo motivo
Perché avendo inserito detto abuso di dipendenza economica nella disciplina della subfornitura, si rimette tutto all’iniziativa di parte. Ciò ne limitava l’applicabilità in quanto, trovandosi l’impresa interessata in uno stato di dipendenza, difficilmente questa avrebbe agito in giudizio per portare alla luce gli abusi subiti dalla controparte.
In altre parole, la disciplina in questione non era in grado di assicurare una tutela adeguata a dette imprese deboli.
Così nel 2001 è stata emanata la legge n. 57 che ha apportato alcuni importanti interventi normativi. In modo particolare:
Grazie a questo comma aggiuntivo, il Garante può adesso intervenire e sanzionare senza che l’impresa debole ricorra al giudice ordinario.
Non a caso il comma 3 bis stabilisce che:
Esso non si limita più a dire che il patto con cui si realizza l’abuso è nullo, ma stabilisce altresì che:
Ne consegue che è stata aggiunta l’ipotesi di violazione diffusa e reiterata, per la quale, l’abuso si configura a prescindere dall’accertamento della dipendenza economica.
Non sarà quindi necessario effettuare alcuna indagine, in quanto, il legislatore ha introdotto una presunzione assoluta di abuso. (Iuris et de iure).
Con riferimento alla tutela di interessi appartenenti a soggetti che rientrano in un’unica categoria, è stata altresì riconosciuta la legittimazione ad agire alle Associazioni rappresentate in almeno cinque Camere di commercio.
Il legislatore ha voluto consentire alle imprese deboli, di agire in giudizio mediante dette associazioni e quindi senza esporsi direttamente.
Fortemente discussa è stata la questione relativa, all’ambito di applicazione della disciplina in esame.
Ci si è chiesto se questa norma sull’abuso di dipendenza economica, si debba applicare solo alla subfornitura,ovvero, a tutti i rapporti tra le imprese.
È possibile che una norma così importante, sia stata inserita in una legge specifica e si applichi solo alla subfornitura?
Nel corso del tempo si sono susseguite diverse interpretazioni.
Ad oggi l’opinione prevalente ritiene che il legislatore abbia introdotto un principio generale, applicabile a tutti i rapporti tra le imprese.
E questo trova la sua giustificazione per diversi ordini di ragione:
Nel ’98 l’unico rimedio previsto nel nostro ordinamento contro la dipendenza economica era la nullità del patto.
Con i successivi interventi normativi sono stati introdotti il risarcimento del danno e le inibitorie.
Il quadro dei rimedi è molto articolato in quanto comprende:
Si elimina la clausola nulla e si inserisce una clausola dal contenuto corrispondente, a quello che solitamente accade nel mercato o in altri rapporti con subfornitori non in stato di dipendenza economica.
La nullità non è applicabile nell’ipotesi di rifiuto di vendere e comprare, in quanto non sono atti ma fatti.
L’impresa che ha subito l’abuso potrà ottenere il risarcimento del danno, in quanto, si configura un fatto illecito ex art 2043 c.c. Si tratta di illecito doloso.
Il legislatore utilizza l’espressione al plurale in quanto il comando inibitorio, può essere variamente articolato.
Si potrebbe pensare ad una c.d. Inibitoria negativa e quindi al comando di cessare l’abuso, ovvero ad una Inibitoria positiva, per esempio un obbligo a contrarre.
L’ipotesi della inibitoria positiva è stata non poco controversa, perché incide fortemente sull’autonomia privata. Al di fuori delle ipotesi normativamente previste, si ricorre ad essa con molta cautela.
La violazione dell’obbligo inibitorio, potrebbe comportare il pagamento delle astraintes ex art 614-bis c.p.c.
Esse vengono applicate dal giudice, nei casi di illecito potenzialmente destinato a ripetersi nel tempo. Si tratta di somme di denaro che l’impresa dovrà pagare, per ogni violazione del comando inibitorio.
L’AGCM può comminare le sanzioni, ma solo nell’ipotesi in cui l’abuso abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato.
Se sei interessato ad approfondire la Legge 192/1998 e la disciplina dell’abuso di dipendenza economica, puoi farcelo sapere mediante un commento.
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