Responsabilità dei dirigenti delle associazioni criminali
Responsabilità dei dirigenti delle associazioni criminali La Responsabilità dei dirigenti ...
La fattispecie delittuosa del peculato consiste, in una sorta di appropriazione indebita posta dal pubblico funzionario.
Nella formulazione originaria del codice, la condotta incriminata si articolava in due forme di peculato. Quella per:
Nella formulazione attuale dell’articolo 314 c.p., invece, la condotta punibile oggetto della nostra trattazione si configura soltanto quando:
Ne consegue che, il legislatore della riforma ha introdotto due innovazioni.
Da una parte ha abrogato il delitto di malversazione a danno dei privati, facendolo confluire nella modificata fattispecie di peculato; dall’altra parte ha, mediante il secondo comma dell’articolo 314 c.p., espressamente previsto la fattispecie di peculato d’uso.
A questo punto sorge spontaneamente una domanda. Quali sono state le ragioni politico-criminali che hanno indotto il legislatore, ad apportare le suddette modifiche?
Dette ragioni possono essere riassunte nel modo seguente.
Il primo motivo risiede, nell’eliminazione della condotta di distrazione. Il legislatore ha voluto porre un freno alla distorsione interpretativa, cui tale forma di condotta dava luogo nell’interpretazione dell’articolo 314 codice penale.
Non a caso, dal punto di vista etimologico, distrarre significa deviare dallo scopo che si era preso originariamente di mira. Pertanto dal punto di vista giuridico, nell’interpretare la condotta di peculato per distrazione, era incerto se, ai fini della sussistenza del reato, fosse necessario che le risorse finanziarie della pubblica amministrazione venissero:
Mentre la dottrina propendeva per le soluzioni sub 2 e 3. Larga parte della giurisprudenza aveva finito per assumere, un orientamento molto rigoroso, accogliendo la soluzione 1.
Ne consegue che, il legislatore ha cancellato la distrazione, per evitare che il delitto di peculato continuasse ad essere utilizzato per sanzionare casi in cui, le risorse pubbliche erano state solo formalmente utilizzate in modo irregolare.
Gli inconvenienti connessi al concetto di distrazione, si potevano risolvere diversamente. Mantenendo la figura del peculato per distrazione, ma modificando e quindi precisando la nozione giuridica di distrazione.
Magari esplicitando i casi in cui l’uso difforme della risorsa pubblica, dovevano considerarsi penalmente irrilevanti, in quanto, incompatibile con le finalità della pubblica amministrazione.
In questo senso erano orientati la maggior parte dei progetti di riforma, presentati nel corso della IX legislatura.
Ciò nonostante, prevalse la soluzione abolitrice in luogo di quella modificatrice. Questo perché si ritenne che la prima riusciva a soddisfare meglio, l’obiettivo volto a mitigare il trattamento penale.
A maggior conferma di quanto sto asserendo, lo dimostra la nuova fattispecie di abuso. Essa è, infatti, destinata a reprimere anche i casi di distrazione, prevedendo pene edittali ben più basse rispetto al peculato.
Chiaramente la scelta effettuata dal legislatore del ’90, non è rimasta esente da critiche. Questo perché il concetto di abuso, è palesemente ancora più sfuggente di quello della distrazione. Per non evidenziare poi, gli inconvenienti che esso pone sotto il profilo della certezza e della tassatività.
Non a caso, in dottrina ci si interroga su una questione. Se all’interno della fattispecie di abuso, vi rientrano anche le forme più gravi di distrazione. Quelle cioè, accompagnate da un rilevante danno patrimoniale per la pubblica amministrazione.
Il secondo motivo, risiede nell’abrogazione del delitto di malversazione a danno dei privati. La ragione politico-criminale che giustifica la sua abrogazione come figura autonoma di reato, risiede in una precisa circostanza di fatto. In uno Stato democratico, l’illecita appropriazione di beni appartenenti ai privati, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, eguaglia quanto a disvalore, l’illecita appropriazione di beni appartenenti alla pubblica amministrazione.
Il terzo e ultimo motivo, risiede nel desiderio di rendere il peculato d’uso, una figura di reato autonoma. La motivazione politico-criminale risiede nella volontà di COLMARE VUOTI DI TUTELA, eliminando ogni precedente incertezza, circa la possibile rilevanza penale di questa forma di peculato.
Interessante, è riuscire ad individuare anche il bene che si intende proteggere, mediante la fattispecie del peculato.
Sul punto dobbiamo dire che si è storicamente passati, dall’idea che il bene protetto fosse il c.d. bene-patrimonio della pubblica amministrazione; all’idea che il bene protetto fosse la tutela dei principi costituzionali di buon andamento e dell’imparzialità, cui deve orientarsi tutta l’attività della pubblica amministrazione.
Sulla base di quest’ultimo orientamento, il buon andamento sarebbe leso perché il pubblico funzionario, disponendo arbitrariamente della cosa, svolge un’attività amministrativa che non risponde alle finalità proprie dell’Ente pubblico.
L’imparzialità, invece, sarebbe lesa perché l’agente sfruttando la sua posizione, avvantaggia se stesso o altro privato.
Nonostante le argomentazioni appena esposte, la tesi minoritaria del peculato inteso come reato lesivo del bene-patrimonio della pubblica amministrazione pare sia quella che dobbiamo preferire.
A maggior conferma di quanto sto dicendo, lo dimostra un dato di fatto. Le intervenute modifiche della fattispecie hanno eliminato la condotta di DISTRAZIONE, facendo si che la fattispecie incriminatrice si incentrasse, sul momento appropriativo della pubblica risorsa pubblica.
Ne consegue che, la dimensione lesiva del reato di peculato deve essere valutata, tenendo conto dell’offesa resa ad un interesse patrimoniale della pubblica amministrazione.
A conferma di quanto appena esposto: la Suprema Corte esclude la configurabilità del peculato, nell’ipotesi in cui il soggetto pubblico compia atti appropriativi di valore economicamente irrilevante. (Cass. 19 ottobre 2010).
Per quanto riguarda la natura del Peculato possiamo dire trattasi, di un reato che può essere posto in essere solamente da un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Esso è un c.d. reato proprio.
Sono escluse pertanto forme di responsabilità, per quanti esercitino un servizio di pubblica necessità.
Al riguardo è importante dire che la Cassazione ritiene che: mentre L’APPROPRIAZIONE INDEBITA è un reato comune contro il patrimonio, il PECULATO è un reato proprio contro il patrimonio della pubblica amministrazione.
La condotta incriminata consistente, nell’appropriazione del danaro o della cosa mobile altrui.
Cosa si intende in questa circostanza per appropriazione?
Si deve intendere quel comportamento di chi:
In altre parole, occorre un interversio possessionis, cioè un mutamento del titolo del possesso. Quindi avere l’atteggiamento psicologico, di chi comincia a possedere uti dominus.
Si osservi che detto atteggiamento di appropriazione, di chi possiede uti dominus. Ciò può essere esternamente manifestato nei modi più svariati.
Sono da considerarsi, tipici fatti di appropriazione:
La distrazione è quel reato che si configura in un momento ben preciso. Quando il pubblico funzionario appunto distrae e quindi, usa il danaro o la cosa mobile, per fini diversi da quelli istituzionali dell’Ente, ma a profitto di terzi.
Ora, come abbiamo già anticipato, la DISTRAZIONE – a differenza di quanto accadeva prima della riforma del 1990 n. 86, la quale rappresentava la condotta alternativa all’appropriazione – non è più un comportamento che integra la fattispecie del peculato, in quanto, oggi integra la differente fattispecie di abuso di ufficio 323 c.p.
Non vi è quindi dubbio che il legislatore del ’90, abbia voluto eliminare dalla fattispecie di peculato tutte le ipotesi di distrazione.
Ma nonostante questa chiara intenzione, sono emerse nella prassi interpretativa delle incertezze su quelle che sono i limiti di estensione che riguardano il concetto di appropriazione.
Quest’ultimo concetto, infatti, si presta a far rientrare all’interno di esso, condotte di distrazione realizzate a profitto proprio.
Si pensi all’ipotesi del medico ospedaliero che utilizza le apparecchiature del proprio reparto, in favore di pazienti privati dai quali percepisce i corrispondenti onorari.
Questo orientamento interpretativo ritiene che le condotte di distrazione a profitto proprio, hanno un disvalore penale analogo a quello dell’appropriazione in senso stretto. Sarebbe quindi irragionevole sottoporle, ad un più tenue trattamento punitivo. Quello cioè del reato di abuso d’ufficio.
A mio avviso però, si è più conformi allo spirito della riforma, se si riconduce ogni ipotesi di distrazione alla fattispecie di cui all’articolo 323 codice penale.
Pertanto sembra più idoneo ritenere che il concetto di appropriazione, contenuto nel nuovo articolo 314 c.p., non si estenda fino a ricomprendere le condotte di distrazione realizzate a profitto proprio. Anche quest’ultime devono essere fatte rientrare, nella diversa fattispecie di abuso d’ufficio.
L’oggetto materiale della condotta di peculato è costituito dal denaro o da altra cosa mobile.
Per denaro si deve intendere, la carta moneta o la moneta metallica; per altra cosa mobile, invece, ogni entità materiale suscettibile di essere trasportata da un luogo ad un altro.
Con il denaro non si pongono particolari problemi interpretativi.
Le altre cose mobili, invece, per poter costituire l’oggetto materiale della condotta di peculato, è necessario che essa sia dotata di un valore economico o quanto meno economicamente valutabile.
Ne consegue che, in assenza di valore o in presenza di un valore estremamente esiguo, non possiamo dire di avere cosa mobile nel senso di cui all’articolo 314 c.p.
Sono invece da considerarsi cosa mobile ai fini del peculato, l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico. Risponderà di peculato il pubblico ufficiale che fa comunicazioni telefoniche private, ponendole a carico della pubblica amministrazione.
Tanto il denaro quanto le altre cose mobili, per poter costituire l’oggetto del peculato, devono essere dotate della caratteristica dell’altruità.
Questa è una novità introdotta con la legge di riforma.
Prima della riforma si avevano due ipotesi criminose autonome, il peculato e la malversazione. Nel peculato il denaro o le altre cose mobili, appartengono alla pubblica amministrazione. Nella malversazione, invece, ai privati.
Ora, eliminata questa distinzione, la parola altruità significa che i beni non devono appartenere allo stesso agente. Si tratta di una esplicitazione superflua considerato che il possesso per ragioni d’ufficio, ne escluda la titolarità del bene stesso in capo al funzionario.
Vogliamo adesso procedere, ad una più precisa determinazione del concetto di altruità. È interessante comprendere se con tale termine, si intende che il pubblico funzionario non debba avere:
Pare che a seguito della unificazione normativa dei reati di peculato e malversazione, per altruità ai fini dell’articolo 314 c.p., si deve intendere:
Ne consegue che, l’esistenza di un titolo che legittima il funzionario pubblico a utilizzare il bene, neutralizza la possibile rilevanza penale di siffatta utilizzazione.
Ai fini della configurabilità del peculato, è importante che il pubblico funzionario possieda l’oggetto materiale del reato, per ragioni di ufficio o di servizio o comunque perché ne abbia la disponibilità.
Bisogna fare una precisazione. Nella formulazione originaria dell’articolo 314 c.p., si faceva menzione soltanto del possesso per ragioni d’ufficio o di servizio; mentre con la riforma del ’90 si è inserita l’espressione o comunque la disponibilità.
Ciò è accaduto, in quanto, il legislatore ha voluto espressamente stabilire che per possesso si deve intendere, non soltanto la disponibilità materiale della cosa, ma anche la semplice disponibilità giuridica.
Detto ciò, è adesso importante comprendere che cosa si deve intendere con l’espressione: possesso per ragioni di ufficio o servizio.
Significa che occorre un collegamento sostanziale tra l’ufficio e la cosa. Collegamento quest’ultimo che è rappresentato dall’esercizio dei pubblici poteri.
In altre parole, ci sarà ragione d’ufficio o di servizio, quando la cosa o il bene rientra tra le attività funzionali devolute all’ufficio stesso.
Sulla base di quanto appena detto, negheremo la presenza del possesso per ragioni d’ufficio o di servizio, nell’ipotesi in cui al soggetto attivo manchi qualsiasi potere sulla cosa.
Si pensi al caso in cui egli opera, sotto la diretta e immediata vigilanza del superiore.
Nella previgente disciplina si discuteva, se il profitto stesso integrasse gli estremi di un vero e proprio dolo specifico.
Nella formulazione vigente, non vi è dubbio che si tratti di un DOLO generico.
Esso, infatti, consiste nella coscienza e volontà di appropriarsi della cosa, di cui si ha la disponibilità per ragioni d’ufficio o di servizio, in una prospettiva di vantaggio personale.
In questo senso è orientata la giurisprudenza, la quale, tende ad escludere che la volontà colpevole, abbracci anche il danno patrimoniale alla pubblica amministrazione.
Il delitto di peculato si consuma nel tempo e nel luogo in cui si verifica il comportamento appropriativo.
Al riguardo è importante porci degli interrogativi:
Per rispondere a detti interrogativi possiamo citare la giurisprudenza, la quale, pressoché unanime, sostiene la tesi più rigorosa. Cioè che il reato non può essere escluso, né dal proposito dell’agente di restituire le somme, né dall’effettiva loro restituzione.
Ne consegue che sarebbe irrilevante la non ancora scadenza del termine del rendiconto, considerando che il pubblico ufficiale risponde delle somme in ogni momento.
N.B. C’è una parte minoritaria della dottrina, la quale ritiene che il delitto di peculato, non si consuma prima della messa in mora o della scadenza del termine prescritto per il rendiconto. Ma questo orientamento non è a mio avviso condivisibile, anche alla stregua della ormai esplicita punibilità del peculato d’uso.
Nel delitto di peculato, il tentativo è ammissibile.
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