Imposta di registro. Qualificazione atti e negozi giuridici
Imposta di registro. Qualificazione atti e negozi giuridici
Considerando che nell’imposta di registro le aliquote variano a secondo dell’oggetto e del tipo di atto sottoposto a registrazione, assume grande importanza la disciplina relativa alla qualificazione degli atti medesimi.
Disciplina quest’ultima che talvolta ha natura generale e altre volte, invece, natura settoriale. Tra le regole generali va anzitutto ricordato:
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Il principio secondo il quale l’imposta di registro deve essere applicata secondo l’intrinseca o effettiva natura ed effetti degli atti presentati alla registrazione anche se non vi corrisponde il titolo o la forma apparente.
Questo principio assume una doppia rilevanza.
Per un verso, comporta la possibilità per l’Ufficio di riqualificare l’atto sottoposto a registrazione quando, il suo titolo o la sua forma apparente non riflettono la reale natura dell’atto stesso.
Per altro verso, invece, comporta l’impossibilità per l’Ufficio, ai fini della concreta applicazione del tributo, di prendere in considerazione elementi esterni al contenuto dell’atto stesso.
Ma va anche detto, che la giurisprudenza ha talora effettuato non indifferenti aperture alla possibilità di tener conto di precedenti o successivi atti negoziali proprio per qualificare in modo più concreto e preciso l’atto sottoposto a registrazione.
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La disciplina prevista per gli atti che contengono più disposizioni.
Sul punto la legge dispone che: se un atto contiene più disposizioni che per loro intrinseca natura non derivano le une dalle altre, ciascuna di esse è sottoposta ad imposta come se fosse un atto distinto.
Ne consegue che se le disposizioni, proprio per la loro intrinseca natura, derivassero invece l’una dall’altra, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo all’imposizione più onerosa.
Ora, se non si pongono particolari problemi per quanto riguarda il riconoscere documenti che contengono più disposizioni distinte fra loro e quindi più negozi, si pensi ad un atto con cui si procede a vendere più automobili a soggetti diversi, lo stesso non si può certo dire, per quanto riguarda l’ipotesi in cui le disposizioni derivano le une dalle altre e l’imposta deve quindi applicarsi limitatamente a quella che da luogo all’imposizione più onerosa.
Ed è a tal proposito che dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che per disposizione occorre intendere ogni atto che, isolatamente considerato, sarebbe suscettibile di imposizione in base alle previsioni del tariffario.
Mentre per derivazione necessaria, che è poi ciò che comporta l’assoggettamento a imposizione della sola disposizione più onerosa, si fa riferimento all’esistenza di vincoli giuridici esterni dai quali si fa discendere la necessaria contestualità di atti dispositivi di per sé suscettibili di autonoma imposizione
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Il principio dell’irrilevanza della nullità o annullabilità dell’atto
Detto principio è contenuto all’interno dell’articolo 38 DPR 131/1986, il quale, stabilisce che:
La nullità o l’annullabilità dell’atto non dispensa dall’obbligo di chiedere la registrazione e pagare la correlativa imposta,
anche se a dire il vero lo stesso articolo nel secondo comma stabilisce che:
l’imposto pagata, deve essere restituita per la parte eccedente la misura fissa, quando l’atto sia stato dichiarato nullo o sia stato annullato, per cause non imputabili alle parti. E’necessario però che la sentenza sia passata in giudicato e che l’atto non sia suscettibile di ratifica, convalida o conferma.
La ratio di questa disposizione, risiede nella circostanza di fatto che il legislatore ha voluto, da una parte precludere all’Ufficio finanziario il potere di sindacare circa la validità o invalidità dell’atto, dall’altra ha quindi fatto in modo che l’imposta sia dovuta per il solo fatto che l’atto esista.
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Il principio generale secondo cui, gli atti dell’autorità giudiziaria sono sottoposti all’imposta anche se al momento della registrazione, essi siano stati impugnati o comunque suscettibili di impugnazione.
Anche questa disciplina è contenuta all’interno del DPR 131/1986, più precisamente all’interno dell’articolo 37, il quale, prevede fa anche in questo caso salvo l’eventuale conguaglio o rimborso nel caso di una successiva sentenza.
Sentenza che, per ragioni di interesse pubblico, deve essere definitiva e quindi passata in giudicato. In assenza di una sentenza definitiva e quindi ancora impugnabile non sarà quindi possibile avere il conguaglio o il rimborso.
Le disposizioni sulla qualificazione di particolari atti e negozi giuridici
Nel corso dello studio di questa materia, abbiamo visto come, le aliquote dell’imposta di registro variano a secondo dell’oggetto e del tipo di atto da registrare e abbiamo visto quindi, come proprio a tal fine sia importante comprendere la disciplina sulla qualificazione degli atti.
Disciplina che come abbiamo già detto, ha talvolta natura generale e altre volte, invece, natura settoriale. Regole settoriali che trovano la loro giustificazione proprio in forza dell’esigenza di tutelare l’interesse fiscale.
Osserviamo nel dettaglio queste regole:
- Nei trasferimenti immobiliari, le accessioni i frutti pendenti e le pertinenze si presumono trasferiti all’acquirente dell’immobile, a meno che non siano stati esplicitamente esclusi dalla vendita o non si riesce a provare con atto avente data certa che appartengono ad un terzo.
- Per i trasferimenti immobiliari tra coniugi o parenti in linea retta è tradizionalmente sempre esistita una presunzione di liberalità, la cui disciplina è non poco variate nel tempo e che aveva la sua ragione di fondo, nell’intento di contenere il ricorso a facile forme elusive dell’imposizione progressiva.
Essa era stata in fine formulata nel senso che i trasferimenti dovevano presumersi donazioni, se l’imposta dovuta secondo il trasferimento oneroso, fosse stata inferiore all’imposta applicabile laddove il trasferimento fosse stato a titolo gratuito.
Ma questa disciplina appare ormai svuotata di concrete possibilità applicative, poiché l’imposta sulle donazioni tra coniugi e parenti in linea retta è normalmente inferiore a quella dovuta nel caso di trasferimento oneroso.
- La risoluzione del contratto è soggetta ad imposta fissa solo quando dipende da clausole o condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto originario ovvero contenuto in atto pubblico o scrittura privata autenticata stipulati entro il secondo giorno successivo a quello della conclusione del contratto. Negli altri casi, l’imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione.
Ne consegue che nelle normali ipotesi di risoluzione per inadempimento, per impossibilità sopravvenuta, ecc, ecc, non si avrà la restituzione dell’imposta originariamente versata.
- Nei casi di contratto per persona da nominare, la nomina del soggetto per il quale l’atto è stato in tutto o in parte stipulato è soggetto ad imposta fissa se effettuate entro tre giorni mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. Ne consegue che trascorso detto termine la nomina viene assoggettata all’imposta stabilita per l’atto cui si riferisce la dichiarazione.
A differenza di quanto stabilito nel codice civile (art. 1402-1403), il termine ai fini fiscali è inderogabile dalle parti e la loro inosservanza comporta l’equiparazione della dichiarazione a un nuovo contratto.
Es. nel caso di acquisto per persona da nominare, la nomina tardiva comporta che fermo restando l’imposta sull’originario contratto, viene applicata anche una nuova imposta di trasferimento.
- Il mandato, pur avendo civilisticamente ad oggetto soltanto la futura effettuazione di un atto giuridico, è fiscalmente assoggettato all’imposta stabilita per l’atto per il quale è stato conferito, quando risulti accompagnato dalla doppia caratteristica dell’irrevocabilità e della dispensa dall’obbligo di rendiconto. Es. il mandato a vendere è fiscalmente equiparato alla vendita, se conferito in maniera irrevocabile e con dispensa dall’obbligo di rendiconto.
- Per le divisioni, infine, vige il fondamentale principio dell’essere esse considerate meramente dichiarative solo se, e sinché, le assegnazioni a ciascun condividente riflettono i valori spettanti sulla massa comune.
Ne consegue che se a un condividente venissero assegnati beni per un valore eccedente quello spettante sulla massa comune, la divisione medesima verrà considerata vendita per tale eccedenza.