Diritto sindacale, previdenziale e del lavoro nel periodo fascista
Diritto sindacale, previdenziale e del lavoro nel periodo fascista
Con l’ascesa al potere del fascismo, i sindacati sia quelli di ispirazione socialista che quelli di ispirazione cristiana, sono stati di fatto eleminati.
Questo è accaduto perché con il Patto di Palazzo Vidoni del 1925, Confindustria riconoscerà alle associazioni sindacali fasciste il monopolio della rappresentanza sindacale, ottenendo di contro l’eliminazione delle Commissioni Interne.
Ne consegue che da un punto di vista sindacale, si è avuto un drammatico ritorno al passato, in quanto, si ebbe nuovamente la soppressione della libertà sindacale e di sciopero.
La legge sindacale del 1926 e una serie di norme del codice penale del 1930, ne sono appunto una dimostrazione giuridica di quanto sto asserendo.
In modo particolare, alla luce di questa nuova normativa, si ammetteva la possibilità di costituire più sindacati.
Il governo avrebbe poi conferito il riconoscimento giuridico come organismo di diritto pubblico, ad un solo sindacato per ciascuna categoria.
Più precisamente a quello che fosse stato espressione di almeno il 10% dei lavoratori di quella categoria e che fosse stato guidato da persone di sicura fede nazionale.
Inutile dire che detto RICONOSCIMENTO, veniva rilasciato ai soli sindacati legati al Partito nazionale fascista, i quali hanno chiaramente assunto la rappresentanza dei lavoratori e imprenditori appartenenti a ciascuna categoria.
Status giuridico del contratto collettivo
Ed era proprio per tale ragione che il contratto collettivo stipulato da detti sindacati, aveva non soltanto efficacia erga omnes con una forza equiparabile a quella della legge, ma proclamato altresì inderogabile proprio perché lavoratore e datore di lavoro non potevano dare luogo a pattuizioni diverse.
Anche le pattuizioni dove il datore di lavoro garantiva condizioni di miglior favore al dipendente, erano ritenute nulle proprio sulla base del carattere inderogabile.
Per quanto, invece, riguardava il problema dello sciopero, esso era stato penalmente incriminato con il codice penale Rocco del 1930. (Disposizioni chiaramente censurate dalla Corte costituzionale, una volta sopravvenuto l’ordinamento repubblicano).
Ciò trovava la sua giustificazione, in quanto, si aveva l’idea che le controversie lavorative non dovevano essere risolte attraverso le lotte sociali, bensì attraverso una Magistratura speciale, appunto la Magistratura del lavoro che avrebbe definito la controversia con sentenza. Detta Magistratura era istituita presso tutte le Corti di Appello e giudicava la controversia con una composizione mista; magistrati ed esperti.
I ricorsi a questa magistratura, furono di fatto molto limitati.
Tuttavia, bisogna precisare che se la disciplina sindacale del periodo fascista si è caratterizzata per l’assenza di libertà, è anche vero che la legislazione sul lavoro e quella previdenziale si sono, invece, caratterizzate per l’assunzione di provvedimenti molto importanti. Si pensi a quella che erano:
- La legge sull’orario di lavoro.
- La legge sull’impiego privato.
- Le nuove leggi sulle lavoratrici madri, quelle sul lavoro delle donne e dei fanciulli.
- La legge con cui si è istituito il riposo domenicale e settimanale.
- Il perfezionamento della legge sugli infortuni del lavoro.
- La legge che prevedeva la tutela pensionistica obbligatoria e successivamente quella mutualistica contro le malattie dei lavoratori.
- E cosi via.
Insomma dal punto di vista del diritto del lavoro e del diritto previdenziale, furono adottate misure che – fatte salve alcune eccezioni e alcuni aggiustamenti interpretativi – non soltanto raggiunsero il loro culmine con il Codice civile del 1942, ma sopravvissero anche nel periodo successivo all’entrata in vigore della nostra Costituzione.
Non a caso, esse sono ancora oggi il cuore della normativa lavoristica.
In definitiva, bisogna dire che con il Codice civile del 1942, si abbandona la nozione di locazione d’opere e si adotta la nozione – contenuta nell’articolo 2094 c.c. – di lavoro subordinato con la quale si è realizzato una sorta di unificazione dello statuto giuridico di tutti i lavoratori.
A seguito di questa unificazione sono stati estesi anche agli operai, i diritti che con le leggi del 1919-24 erano stati riconosciuti solo agli impiegati.
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