Diritto del lavoro e la crisi degli anni 90
Diritto del lavoro e la crisi degli anni 90
Negli anni ’90 si è posto in essere un altro evento che ha inciso nell’ambito del diritto del lavoro. Sto parlando della trasformazione economico sociale che prende il nome di globalizzazione.
Inutile dire che essa ha comportato una profonda trasformazione dei modelli produttivi ed organizzativi d’impresa. Si è passati dal modello tayloristico alla c.d. impresa postfordista.
Quest’ultima non era più incentrata nella produzione di massa realizzata da operai con una scarsissima qualifica professionale, bensì nell’uso di una manodopera più qualificata o che comunque si cercava sempre più di riqualificare, attraverso una partecipazione più attiva dell’operaio nella realizzazione degli obiettivi produttivi.
Trattato di Maastricht
Ora, sulla base del quadro che ho appena esposto, è importante tenere presente un altro dato di fatto e cioè, che l’Italia a seguito del c.d. “Patto di stabilità” concordato con il Trattato di Maastricht del 1992, non ha potuto più insistere con la politica dei disavanzi di bilanci.
Con la conseguenza che è stata appunto costretta, a iniziare un sofferente percorso per cercare di rientrare dal pesante debito pubblico.
Percorso ancora più sofferente, se si pensa che nel 2002 l’Italia ha aderito all’unione monetaria. Era divenuto impossibile compensare i deficit produttivi della nazione, mediante la svalutazione monetaria.
Occorre un sistema produttivo efficiente
Si è quindi posto il problema di cominciare ad avere un sistema produttivo efficiente. E fu proprio per questo motivo che si mise a confronto il sistema economico italiano, ma in generale di tutta l’Europa continentale, con il sistema economico anglosassone. Quest’ultimo infatti, aveva delle migliori performance economiche.
Da questo confronto, cominciò a maturare l’idea che per avere sistemi produttivi con performance più efficienti come quelle dei Paesi anglosassoni, fosse necessario imitare quest’ultimi i quali sono storicamente caratterizzati per essere meno protettivi.
In altre parole, comincia a maturare l’idea che la soluzione sia da ravvisare, nell’eliminare l’eccesso di:
- Regolamentazione
- Carichi fiscali
- Garanzie
Questi erano infatti considerati i veri handicap dell’economia continentale, mentre la FLESSIBILITA’ la cura per ottenere l’efficienza tanto desiderata del sistema economico.
Cosa significa flessibilità?
Si osservi che con la parola flessibilità del lavoro si deve intendere:
- Alla possibilità di gestire la forza lavoro, di modo da poterla adattare alle diverse esigenze aziendali. Esigenze quest’ultime che sono valutate dallo stesso imprenditore.
Detta flessibilità può essere distinta in:
Numerica o Quantitativa: se la flessibilità si riferisce alla possibilità dell’imprenditore di ridurre o aumentare l’organico dell’impresa, in relazione al fabbisogno produttivo.
Funzionale: se detta flessibilità si riferisce alla possibilità di mutare le mansioni dei lavoratori o il luogo di lavoro.
Temporale: se si riferisce alla possibilità di modificare gli orari di lavoro.
Retributiva: se si riferisce nella possibilità di modificare le retribuzioni in correlazione all’andamento produttivo.
Insomma, comincia ad imporsi l’idea del bisogno di flessibilità. Idea che viene rafforzata dall’orientamento che attribuisce alla rigidità del diritto del lavoro, la causa principale della disoccupazione e quindi di mettere in pericolo il bene lavoro.
Nuova visione del diritto del lavoro rigido
Critica quest’ultima avanzata anche da alcuni giuristi, i quali ritenevano che il diritto del lavoro rigido si presenta come una città fortificata. All’interno della città troviamo gli INSIDER, lavoratori occupati, garantite e protetti. All’esterno, invece, gli OUTSIDER o meglio i disoccupati e i non occupati. Quest’ultimi non soltanto privi di tutela, ma poiché fuori le mura, anche in difficoltà per accedere all’interno della fortificazione.
Inutile dire che non mancava in dottrina, chi ritenesse che non vi fosse prova che la disoccupazione sociale, fosse legata alla rigidità del diritto del lavoro.
Ad ogni modo, nonostante detto orientamento dottrinario fosse contrario a detta flessibilità, sono state adottate leggi che hanno fatto salire di molto il tasso di flessibilità all’interno del sistema. Probabilmente queste leggi avranno contribuito a ridurre il tasso di disoccupazione, anche se con una bassa crescita dell’economia.
Norme che cominciano ad introdurre la flessibilità
Si pensi alla legge:
- Che ha abolito definitivamente la scala mobile (1992).
- Sui licenziamenti collettivi e sulla mobilità.
- Che ha legalizzato il lavoro interinale e reso più flessibili gli orari di lavoro.
- E così via
Si osservi però, che il legislatore è vero che ha introdotto la flessibilità, ma è anche vero che ha condizionato in qualche modo l’utilizzo di questi istituti di flessibilità, da parte dell’imprenditore, alla stipulazione di accordi collettivi che ne regolassero tale utilizzazione.
L’intervento normativo più importante del decennio, è stato rappresentato sicuramente dalla legge che ha provveduto alla privatizzazione del lavoro pubblico. (d.lgs. n.29/1993).
Detta privatizzazione è avvenuta per raggiungere un doppio obiettivo. Da una parte tutelare i diritti dei lavoratori pubblici, dall’altra ottenere un recupero di efficienza dell’apparato amministrativo.
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